Nel 76esimo incontro della rubrica di Michele Fina “Dialoghi, la domenica con un libro” si è discusso delle “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci. Francesco Giasi, direttore della Fondazione Gramsci, che ne ha curato l’ultima edizione, pubblicata da Einaudi, si è confrontato con Fina.“Ho insistito per raccontare di questa edizione – ha detto Fina – perché è un lavoro collettivo, atteso, prezioso e importante. Ci sono lettere e documenti inediti, alcuni vengono riscritti nel senso che ne viene curata in modo più avanzato la loro edizione. Emerge la potenza del pensiero e la profondità di un corpo esposto alla rigidità del carcere e alla sofferenza. La sua vita ha informato molto la storia della sinistra italiana, l’ha resa particolare, più feconda, più ricca”.

Giasi ha spiegato: “Il lavoro per questa edizione è stato fatto giovandosi del lavoro dei precedenti editori e delle ricerche negli ultimi 10 – 15 anni per l’edizione nazionale, che prevede la pubblicazione dell’intera corrispondenza di Gramsci, non solo le lettere da lui inviate ma anche quelle ricevute. Questa edizione ripropone le sole lettere di Gramsci, integra e aggiorna il lavoro fatto in precedenza. Si tratta di lettere di un prigioniero politico, promosse da Togliatti, pubblicate nel 1947 a soli dieci anni dalla morte di Gramsci: fu una vera e propria invenzione editoriale”.

Il direttore della Fondazione Gramsci ha detto che “le lettere sono per me la migliore introduzione a Gramsci, ci danno informazioni sulla sua vita attraverso le pagine autobiografiche, sulla sua attività di politico e di scrittore. Anche il suo pensiero è condensato qui. Togliatti lo presentò come il capo fondatore del Partito comunista italiano omettendo la funzione svolta e l’impronta lasciata da Bordiga nei primissimi anni di vita del Pci. Gramsci è senz’altro tra gli interpreti originali e creativi di Marx, ce ne dà una versione, e i suoi scritti sono apparsi come un antidoto alla dogmatizzazione del marxismo. Ebbe fortuna per molte ragioni, come ad esempio la vastità dei suoi interessi e il fatto che le sue categorie storico – politiche apparvero anche in seguito come adatte a inquadrare le problematiche presenti”.

Da notare che la prima edizione presenta un corpus molto più ridotto di lettere, e su questo Giasi ha ricordato: “A Togliatti venne mossa l’accusa di adattare la figura di Gramsci alla sua svolta politica, ma non ne aveva interesse, il suo impegno successivo a pubblicare l’edizione integrale lo dimostra. I tagli riguardano vicende strettamente familiari, i riferimenti a Trotsky e Bordiga e rispondono alla volontà di attutire la sensazione che Gramsci fu un detenuto che visse vicende e contrasti familiari”.

Fina ha ricordato una polemica di circa un anno fa sulla presunta violenza del linguaggio di Gramsci. Giasi non concorda: “La ferocia a cui ci si è riferiti è quella di un combattente politico, peraltro nella fase del 1921 e 1922, meravigliarsi è un modo ingenuo di valutare un testo e uno scrittore politico. Gli scritti vanno contestualizzati”.

La registrazione del dialogo è disponibile qui.