Nei giorni scorsi è stato raggiunto l’accordo in Germania tra i partiti che comporranno la maggioranza di sostegno al governo che sarà guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz (gli altri partiti che ne fanno parte sono i Verdi e i liberali), dopo oltre sedici anni in cui la cancelliera è stata Angela Merkel, sebbene alla guida di esecutivi di segno e composizione variegati.

Sull’operato di Merkel i giudizi e le opinioni sono discordanti, ma nessuno può negare che la sua azione politica ha profondamente influenzato le decisioni dell’Unione europea. Nei momenti critici questo è stato particolarmente evidente. Si pensi alle grandi crisi economiche che hanno raggiunto livelli sistemici, alle scelte fatte sul salvataggio della Grecia e a quelle che hanno riguardato (o piuttosto, per alcuni versi, “non riguardato”) le politiche migratorie, fino naturalmente alla fase pandemica. In ciascuno di questi passaggi la posizione della Merkel è stata decisiva, quasi mai scontata. Per rendersene conto è sufficiente prendere atto degli approcci opposti di cui si è servita per affrontare rispettivamente le crisi del debito e il rilancio post – Covid: nel primo caso sostenendo l’adozione di misure di austerità e nel secondo invece favorendo una politica orientata agli investimenti, la cui portata persino rivoluzionaria è ancora più evidente se si tiene conto che essa rappresenta la prima sperimentazione di condivisione del debito a livello comunitario, in precedenza sempre respinta con decisione, anche da Merkel stessa.

Si tiene raramente conto che le posizioni della cancelliera non potevano che essere a loro volta costruite sulla base delle posizioni della maggioranza che ne sosteneva i governi, e così era inevitabile che variassero a seconda che l’esecutivo in carica fosse di centrodestra (con i liberali) o di grande coalizione, cioè includesse anche i socialdemocratici. Proprio per questo sarà interessante vedere in che modo si svilupperà a livello comunitario la politica del nuovo governo tedesco, perché essa non potrà che influenzare le posizioni all’interno e dell’Ue, e perché si tratta di una composizione nuova, che include accanto alla componente progressista quelle ambientalista e liberale, quest’ultima particolarmente rigida sul tema delle politiche di bilancio e della condivisione del debito. Il fatto è che il 2022, ovvero l’anno in cui il nuovo governo tedesco vivrà il momento di maggiore slancio, sarà anche quello in cui entrerà nel vivo e si concluderà il confronto sulla revisione delle regole comunitarie di bilancio. Il Patto di stabilità è stato infatti sospeso per l’emergenza pandemica fino alla fine dell’anno prossimo e a partire dal 2023, a meno che non ci siano aggiustamenti, rientrerebbe integralmente in vigore a dispiegare effetti (e sanzioni) rispetto a una situazione generale che il Covid ha di fatto terremotato, incrementando deficit e debiti pubblici e facendo emergere con rapidità la necessità di investimenti, specialmente in alcuni settori chiave.

Nel patto di governo tedesco è codificata l’ambizione di arrivare a un Paese a emissioni zero entro il 2045, quindi prima della scadenza concordata in Europa, attraverso uno sviluppo delle energie rinnovabili: sarà importante osservare e capire come si svilupperà la dialettica in Germania tra socialdemocratici e Verdi da una parte e liberali dall’altra rispetto alla necessità di rivedere le regole di bilancio comunitarie per rendere possibili, e appetibili, gli investimenti, almeno nelle politiche di transizione ecologica. Ci riguarda di fatto da vicino.

Michele Fina