Fina ha detto di “avere trovato in questo libro la giusta definizione dei personaggi di Rapino, ‘abbandonati dalla vita’. E’ un libro a più voci, con un linguaggio più articolato rispetto a quello che caratterizzava la storia di Bonfiglio Liborio. Mi ha fatto pensare all’antologia di Spoon River e in effetti è un libro in cui anche le tragedie sono protagoniste, il terremoto che sconvolge le esistenze, Marcinelle. L’architettura del racconto fa pensare alla beat generation e ci sono molte citazioni e riferimenti letterari anche se presentati in modo sfumato, quasi irriconoscibili”.
L’autore ha spiegato che “rispetto alla storia di Bonfiglio Liborio questa si muove su più piani e prospettive, cerca una coralità attraverso una pluralità di personaggi e situazioni che si intrecciano tra loro. Mengo racconta di sé e degli altri e gli altri raccontano di Mengo. In comune tra i due libri c’è la solitudine, il senso di umanità emarginata ed eccentrica che ci impegna a riflettere sulle nostre vicende, anche dal punto di vista sociale e politico. La diversità di Mengo consiste nel fatto che vede le cose invisibili, che non esistono più. Mi ha ispirato un articolo scritto da Leonardo Sciascia, che raccontava del ritrovamento, dopo il terremoto del Belice, dei quaderni con i temi e i pensieri dei bambini. Mengo fa rivivere le persone, perché come detto vive di cose invisibili. La scrittura le riporta in vita e le rende di tutti. Questo libro riprende anche un famoso articolo di Pasolini, la scomparsa delle lucciole, in cui vedeva il passaggio da una società agricola a una industriale. Anche Mengo non vuole accettare una disperata forma di sviluppo, che come in Pasolini sostituisce i valori con i disvalori”.
Nel corso del dialogo Rapino ha rivelato: “La scrittura è per me una forma di ascolto, anche di voce inesistenti, che potrebbero essere. La letteratura dovrebbe stare accanto a quelli che non hanno voce. Le figure di questo libro sono spesso ispirate a personaggi reali, come nella storia di Bonfiglio Liborio: può essere inteso come un omaggio alle persone che ho conosciuto, che mi hanno raccontato le loro esistenze”.
L’autore ha anche svelato alcuni spunti curiosi di luoghi e personaggi che vengono dalla sua esperienza personale: Rocca Calascio dove fu costretto dall’auto in panne a fermarsi circa quarant’anni fa, al ristorante di Maria Ruscitti, quello con “gli gnocchi più buoni del mondo”. In onore della ristoratrice Mengo ha preso il suo cognome.
La registrazione del dialogo è disponibile qui.
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