A cinque anni dalla bocciatura tramite referendum della riforma costituzionale che interruppe, tra le altre misure, il percorso di abolizione delle Province (lasciando irrisolto un processo che aveva già portato al loro sostanziale svuotamento), si può affermare che sia in atto un tentativo di dare agli enti intermedi una nuova vita, dopo quella caratterizzata dall’elezione diretta di presidenti e Consigli provinciali e la più recente di cui si è appena detto.
Il primo passo in questa direzione verrà compiuto sabato 18 dicembre, quando si svolgeranno le elezioni che interesseranno molte Province, per un bacino che chiama in causa circa un italiano su due. Non saranno i cittadini a votare, ma i sindaci e i consiglieri comunali. L’importanza di questo passaggio è evidente se si esaminano i dati: sono oltre duemila i candidati a presidente o consigliere provinciale, oltre duecento le liste che concorreranno alla cui formazione hanno contribuito forze civiche e politiche. Un segnale chiaro di un ritorno di appeal che discende in buona parte dal secondo passo, che sarà compiuto a breve, quando sarà approvato il disegno di legge collegato alla manovra economica che prevede alcuni importanti correttivi e aggiustamenti. Spicca senza dubbio il ripristino della Giunta provinciale come organo esecutivo, ma è da segnalare anche la dotazione di importanti funzioni: oltre alle “tradizionali”, che riguardano scuole e trasporti, ne saranno assunte altre di programmazione, anche economica, come la predisposizione di un piano strategico triennale e l’organizzazione di alcuni servizi pubblici. Verrà anche disposta la stessa scadenza per il rinnovo di presidenti e consiglieri, scongiurando così l’evenienza di ritrovarsi con presidenti e maggioranze di segno diverso. Una serie di interventi che rivelano la volontà di recuperare per le Province un ruolo politico, e fare colmare ad esse il divario che le caratterizzava come una sorta di sorelle sfortunate delle Città metropolitane, e perennemente alle prese con un’insufficienza di risorse e possibilità rispetto ai compiti e alle opportunità. Insomma, gli enti del “vorrei ma non posso”.
Sarebbe tuttavia ingiustificato ritenere i correttivi alla disciplina delle Province come un intervento di sistema. Essi possono piuttosto aprire un percorso, tanto più necessario alla luce della grande mole di risorse, tra Piano nazionale di ripresa e resilienza e fondi europei, che i territori dovranno riuscire a mettere a terra nei prossimi anni. Per affrontarlo al meglio bisognerà porsi domande sulle inefficienze emerse nel sistema regionalistico italiano (e su tutti i rischi connessi all’equità sociale e ai divari territoriali) nel corso della fase pandemica, e alla sostanziale stasi nell’avanzamento delle Città metropolitane, ulteriormente evidenziata dalla recente sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato l’automatica corrispondenza tra sindaco del Comune capoluogo e sindaco dell’ente. Le domande di fondo sono: l’assetto e le funzioni, con relativa distribuzione di fiscalità e risorse, di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, sono quello idonei ad affrontare la fase che si è appena aperta, di fondi senza precedenti e crescente necessità di capacità di progettazione, in modo uniforme sul territorio nazionale? La gestione amministrativa dei servizi da parte dei diversi livelli parte realmente dalle esigenze delle persone e del mondo del lavoro? Infine: se la Provincia torna a svolgere un ruolo essenziale, non sarebbe il caso di restituire il voto per il rinnovo degli organi politici al popolo?
Michele Fina
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