Mentre i ministri dell’energia dell’Unione europea vanno avanti con il piano comunitario per la finanza sostenibile, il green deal, in Europa è più acceso che mai il confronto sulla tassonomia verde. Per raccontarla in un modo che sia comprensibile a tutti e non solo agli addetti ai lavori, si tratta di una classificazione – una vera e propria lista – degli investimenti ritenuti sostenibili in Europa dal punto di vista ambientale. Essendo classificate come sostenibili, determinate tecnologie potrebbero o meno avere diritto ad accedere a tutta una serie di benefici, fondi del PNRR, incentivi fiscali, maggiore possibilità di accesso al credito etc.
Nei mesi scorsi esponenti del governo italiano si sono espressi a favore dell’inserimento del nucleare e del gas all’interno della tassonomia, tuttavia le posizioni sembrano essersi molto raffreddate in considerazione delle forti perplessità di diversi governi europei, oltre che delle tante associazioni del terzo settore, nonché di importanti istituti scientifici.
Contro ogni previsione gli stessi esperti Ue, andando contro l’orientamento della Commissione, si sono espressi contro l’introduzione del nucleare nella nuova tassonomia verde e spiegano che il gas potrebbe rientrare solo a condizione di un radicale abbattimento delle emissioni.
Il nucleare pone diversi ordini di criticità: da un lato il dato tecnico e di costo/opportunità, il quale sta dissuadendo molti stati dal proseguire su tale strada. Molti dati indicano il lento e costante declino di questa tecnologia, a causa dei costi elevati e del rischio derivante dalla gestione delle scorie, oltre che da quello di incidenti. Gli unici che proseguono sulle tecnologie di IV generazione sono coloro che hanno già investito importanti quantità di risorse in tale direzione e pertanto sono di fatto vincolati a tale scelta; altro aspetto forse ancora più importante da tenere in considerazione riguarda il dato democratico. I cittadini italiani hanno per ben due volte dichiarato in modo inequivocabile la loro contrarietà alla tecnologia nucleare.
Rispetto alla produzione di energia elettrica da centrali a gas, appare inevitabile il suo utilizzo all’interno di una fase di transizione. Tuttavia, occorre fare molta attenzione affinché l’attuale formulazione non scarichi i propri effetti sulle imprese italiane. Molti degli impianti italiani rischiano infatti di rimanere esclusi dalla classificazione per motivi di ordine tecnico. L’Italia infatti ha avviato già da anni un massiccio processo di transizione verso il gas e, gli impianti concepiti negli anni passati presentano standard tecnici più bassi. Il nostro Paese rischia in altre parole di pagare il fatto di aver avviato prima di altri il processo di decarbonizzazione. Non possiamo permetterci di scaricare sulle imprese il costo della transizione, auto-determinando noi stessi una forma di dumping interno all’Unione Europea, ampliando ancora di più la forbice del costo dell’energia tra i Paesi membri.
Per questi e molti altri motivi crediamo come associazione Transizione ecologica solidale che sia importante evitare di assumere decisioni frettolose, e al contrario ribadiamo i nostri valori cardine, secondo i quali la transizione deve essere ecologica ma anche giusta. Ogni tentativo da parte di interessi politici ed economici che spingono per il ritorno al nucleare va respinta al mittente. Sarebbe al contrario molto più utile una ricognizione delle posizioni degli altri Paesi, per valutare in modo non ideologico tutte le implicazioni sociali e ambientali delle decisioni. In questo senso la posizione del governo italiano, trapelata nelle scorse ore, che mette in discussione i limiti di emissioni proposti per le centrali a gas è senz’altro un buon punto di partenza.
Michele Fina
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