La settimana che ha condotto alla rielezione di Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica ha avuto effetti profondi sulla composizione del quadro e sul posizionamento delle forze politiche. Ne sono usciti particolarmente malconci la Lega e lo stato di salute di quello che fino a pochi giorni eravamo abituati a considerare come centrodestra, inteso come blocco di partiti del fronte conservatore. Come alleanza forzosa e interessata esiste oramai solo nei livelli di governo locali, dai Comuni alle Regioni.
A fare ora da detonatore del centrodestra sono stati principalmente, ma non solo, gli errori del leader della Lega Matteo Salvini, a cui viene imputato da quella di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni di avere tenuto una condotta autonoma nelle scelte che hanno portato all’elezione di Mattarella. La spaccatura ha portato Meloni a prese di posizione forti, che sottolineano la necessità di rifondare il centrodestra che, sostiene, è oramai polverizzato. E’ chiaro che si tratta anche di una mossa tattica per trarre profitto dal progressivo indebolimento di Salvini, sfruttando il momento per proporsi come riferimento di un’area che il leader del Carroccio fatica sempre di più a rappresentare, stretto tra gli errori e la necessità di accontentare e assecondare le variegate posizioni presenti nel suo partito. Una posizione di rendita che Meloni ritiene di poter valorizzare attraverso una collocazione di opposizione al governo e all’elezione del Presidente della Repubblica. Salvini ha risposto rilanciando, in parallelo a un incontro con Silvio Berlusconi, l’idea della federazione del centrodestra che fu lo stesso fondatore di Forza Italia a partorire ma che, in questa fase di inasprimento della competizione con Fratelli d’Italia, appare più che altro come un tentativo di arroccamento in competizione con Giorgia Meloni. Della serie: visto che oramai il sorpasso nelle preferenze di Fratelli d’Italia alle Lega è inevitabile, una fusione con Forza Italia consentirebbe almeno di mimetizzarlo e toglierne dal tavolo gli effetti rovinosi per Salvini, ovvero il definitivo tramonto della sua leadership, già pesantemente minata.
Tutto questo rappresenta in realtà un’accelerazione di una spaccatura che si è progressivamente allargata negli ultimi anni assieme alla crescita di Fratelli d’Italia a spese del Carroccio ed è stata accentuata in modo particolare dalle scelte opposte di Forza Italia e Lega da una parte (in maggioranza) e di Fratelli d’Italia (in minoranza), per citare gli attori principali, rispetto alla nascita del governo Draghi. I contrasti, a intensità variabile, non erano mai mancati, sanati da necessità contingenti, ovvero quello di ritrovarsi almeno formalmente uniti agli appuntamenti elettorali sul territorio, ma con esiti di scarsa competitività: la rivalità e la diffidenza reciproca ha prodotto in occasione dell’ultima tornata mediazioni al ribasso specialmente sui candidati, determinando una sostanziale debacle. La divaricazione che si è conclamata nella scelta del Presidente della Repubblica non è che quindi l’effetto di un divaricazione ben più profonda e precedente. La nascita del Governo Draghi, la risposta da dare alla nuova Europa del Next Generation EU, il bivio tra il restare sovranisti (e quindi antieuropei) e il tornare nell’alveo della famiglia del Partito Popolare Europeo. Lì di sono separate le strade tra Meloni da una parte e Lega (Nord) e Forza Italia dall’altra. Con Salvini che ha faticosamente finto fin qua di essere l’uno e l’altro; finzione che non ha retto nemmeno nella scelta più ampia possibile, come è quella del Presidente della Repubblica.
Appare difficile oramai, saltate perfino le apparenze, immaginare una ricomposizione. Rimarranno gli effetti di uno scontro in cui si intrecciano le contraddizioni (oggi impossibili da mascherare) che scaturiscono dalla contemporanea presenza di alleanze di governo nei Comuni e nelle Regioni, di posizioni diverse sull’Unione europea e rispetto al sostegno all’esecutivo. Fratture che rischiano di pagare i cittadini, in una fase in cui le opportunità di rilancio passano da una collaborazione di tutti i livelli politici e istituzionali.
Michele Fina
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