E’ stata senza dubbio una ricorrenza importante quella celebrata nei giorni scorsi, non a caso alla presenza del Presidente della Repubblica, all’Auditorium di Roma: si trattava dell’apertura degli eventi relativi al Centenario dei Parchi nazionali più antichi del nostro Paese, quello d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Gran Paradiso. Ho partecipato all’evento con emozione, avendo dedicato molti anni di impegno e partecipazione alle comunità dei parchi abruzzesi e al consiglio direttivo del Pnalm. Questo anniversario è stato anche l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte della tutela dell’ambiente del nostro Paese, perché l’istituzione dei due Parchi citati è stata senza dubbio il primo passo di un percorso importante, culminato nel 1991 con l’approvazione della legge quadro 394. In Italia oggi i Parchi nazionali sono 24, le aree marine protette 29, i Parchi regionali 135, le riserve naturali 400. Producono lavoro per oltre centomila persone. Il territorio che gode di un qualche livello di protezione arriva al venti per cento del totale.
La spinta che ha portato alla costituzione di un sistema così importante e articolato appare tutt’altro che esaurita, anzi: le nuove esigenze che si sono affermate in questa fase storica, che la pandemia ha trasformato da richieste di una piccola parte della società a programma di azione e di governo di rilievo comunitario (tanto più che la transizione ecologica è la cornice all’interno della quale l’Unione europea prova a scrivere un altro ambizioso capitolo della sua storia di continua trasformazione e nuova coesione), impongono una riflessione sui migliori modi, anche per i Parchi e le aree protette, di cogliere le nuove opportunità.
E’ evidente il passo da compiere sia quello di superare una volta per tutte la divergenza tra crescita e conservazione, adottando l’approccio dello sviluppo sostenibile. Le aree protette che si sono rivelate i migliori interpreti di questa visione sono stati quelli in cui le esigenze di tutela non sono state percepite dalla popolazione come freni per lo sviluppo, e dove i meccanismi di partecipazione e rappresentanza delle comunità sono stati valorizzati al meglio e applicati con lo spirito giusto. Il modello, a cui il Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise senza dubbio appartiene, è questo, e il rilancio dovrà avvenire su queste basi, integrando maggiormente e anche formalmente gli strumenti, e i Piani, di conservazione e di sviluppo socioeconomico. Ho già avuto modo di sostenere in passato che si tratta a ben vedere della stessa sfida a cui è chiamata la società intesa in senso complessivo, una sfida particolarmente attuale alla luce delle gravi conseguenze anche per il nostro Paese dell’aggressione russa all’Ucraina, che ha reso particolarmente evidente – in questo caso nel settore energetico – l’urgenza di predisporre azioni e percorsi che sappiano valorizzare soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale ed efficienti da quello economico. I Parchi, se messi nelle condizioni di farlo, possono come altre volte svolgere una volta di più il ruolo, necessario, di guide e di laboratori. Per tutto questo c’è bisogno di maggiore attenzione del Governo e del Ministero della Transizione Ecologica e maggiore protagonismo del sistema delle Aree Protette; sarebbe davvero incredibile che la grande sfida della transizione ecologica nel quadro della Next Generation EU veda ai margini il mondo della protezione ambientale. Sarebbe un errore imperdonabile.
Michele Fina
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