In attesa del decreto del governo che sarà dedicato alla modifica della governance e all’introduzione di semplificazioni per l’applicazione tempestiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza, comprese quelle che dovranno essere dedicate all’incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, vale la pena riportare in evidenza lo studio e i dati presentati tra gli altri nei giorni scorsi da Elettricità Futura. Si tratta nell’ambito di Confindustria della principale associazione delle imprese che operano nel settore elettrico italiano.

Il merito delle informazioni emerse è, una volta di più, avere messo in luce che il percorso di potenziamento delle energie rinnovabili in Italia è un’operazione, oltre che conveniente da svariati punti di vista, alla portata delle competenze del settore e del Paese. A patto naturalmente che esista la volontà politica di portarlo avanti. Nonostante i tentativi più volte messi in campo negli ultimi anni, i progressi in questo ambito sono stati tutto modesti e benché il ministro dell’Ambiente abbia sostanzialmente sposato i target e le proposte di Elettricità Futura, la linea comunicata dal governo in materia di politica energetica – che molto sembra puntare ad agire sulle importazioni e sull’aumento della produzione nazionale di gas – alimentano qualche scetticismo sulle sue dichiarazioni. Ma staremo a vedere.

Le stime ci dicono che passare dai 2,5 gigawatt di energia green autorizzata nel 2022 a 8-10 significherebbe portarla nel 2030 a raggiungere l’84 per cento nel mix di generazione. La quota attuale si attesta al 35 per cento. Vorrebbe dire risparmiare l’importazione di 160 miliardi di metri cubi di gas e 110 miliardi di euro, creando a fronte di 320 miliardi di investimenti oltre mezzo milione di posti di lavoro. La strada è quella dell’aggiornamento del Piano nazionale per l’energia e il clima scaduto da cinque anni, del rafforzamento della filiera amministrativa e di semplificazioni efficaci, a cominciare dall’individuazione delle aree idonee. Le basi ci sono perché l’Italia è il secondo Paese per tecnologie rinnovabili (eolico escluso) e il sesto esportatore al mondo.

La strada passa quindi innanzitutto dalle scelte politiche: risulta difficile credere che un Paese che è stato in grado di condurre in porto un’operazione enorme dal punto di vista dei costi e dell’impegno della filiera come quella del superbonus, tanto per citare una questione in qualche modo collegata, non riesca a lavorare con efficacia per eliminare strozzature e impedimenti. A questo si deve aggiungere un impegno che definirei culturale, e che deve coinvolgere le migliori energie del Paese in campi come l’urbanistica e l’architettura prima che l’amministrazione e la normazione. Non è detto che i nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile, e l’impatto del paesaggio che determinano, debbano risultare esteticamente invalidanti: precauzioni e passi in avanti possono essere intrapresi anche in questo particolare ambito. Tenendo conto, ai fini della valutazione complessiva, dei benefici ambientali connessi alla crescita delle rinnovabili.

 

 

Michele Fina