Nel 156esimo incontro della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro” Marielisa Serone D’Alò e Benedetta La Penna (attivista femminista intersezionale e speaker radiofonica) hanno presentato con l’autrice il libro di Vera Gheno (sociolinguista e ricercatrice presso l’Università di Firenze) “Chiamami così. Normalità, diversità e tutte le parole nel mezzo” (Il Margine).

La Penna ha sottolineato che “Vera Gheno è un punto di riferimento non solo del movimento femminista ma anche di chi è appassionato di sociolinguistica. Questo è il suo penultimo libro, che precede ‘Parole di altro genere’. Come scrive Vera nell’introduzione nasce dalla necessità di riflettere come mai proprio oggi si sente il bisogno di parlare di differenze, di rappresentatività sociali e linguistiche, nell’ambito della formazione scolastica e non. E’ la trascrizione di una conferenza a Rimini, anche sul bisogno di relativizzare punti di vista che si considerano universali. Parliamo di lingua che crea realtà, identità, opinione. Il linguaggio inclusivo forse non basta più, ora si discute di convivenza, di linguaggio ampio. Il libro è un valido punto di partenza: dare nome alle cose crea realtà, rende reali ed esistenti quelle minoranze che in assenza di parole non vengono trattate”.

Serone D’Alò ha detto: “Parliamo anche di porre semplici domande su gusti e desideri delle persone che abbiamo davanti. Di questo testo mi piace molto il fatto che fa emergere la necessità di storicizzare quello che è accaduto negli ultimi anni, il posizionarsi per interrogare il contesto. L’autrice è decisamente ‘nelle cose’ ed è percepibile il tema della fatica rispetto alla resistenza culturale”.

Gheno ha spiegato: “La questione della normalità è lungamente discussa. Sempre più persone sentono inclusività e linguaggio inclusivo come definizioni strette perché riproducono l’idea che ad includere siano persone normali, rispetto ai supposti diversi. Ma cos’è la normalità? E’ su questa domanda che è incentrato il libro. Fabrizio Acanfora, che ha scritto l’introduzione, la individua come tutto ciò che ricorre più spesso. Il problema non è questo, piuttosto che nel corso del tempo essere normali è diventato qualcosa di positivo, una questione di merito. Automaticamente essere diversi è un problema, qualcosa che la società deve a fatica sistemare. Non è solo un fatto di linguaggio, è tutto il mondo che è ostile alla diversità. Occorre capire che essere normali non vuol dire essere migliori, solo avere una caratteristica più comunemente rilevata nella società, e di conseguenza essere diversi non è un problema. Staccare l’idea del merito da quella di normalità è difficile”.

Per l’autrice “oggi è difficile rinunciare alla locuzione ‘linguaggio inclusivo’, tuttavia spesso viene considerata la panacea. Acanfora nota che con questa espressione si intende che ci sia una parte di società in grado di accogliere, la parte giusta: la differenza con gli altri rimane. E’ una concessione. Io personalmente sono per il linguaggio ampio, ovvero attento alla diversità: rinuncia alla centralità della mia normalità. E’ un linguaggio di apertura, che ha una visione ampia rispetto all’alterità e alla diversità. E’ in generale un processo faticoso, che connota chi lo intraprende come un animale sociale in un fase storica che spinge molto sul solipsismo. Io sento molto il bisogno di tornare alla dimensione collettiva, propria degli esseri umani: dovremmo recuperarla”.

La registrazione del dialogo è disponibile qui.