Il romanzo “Trema la notte” (Einaudi) di Nadia Terranova è stato presentato nel 136esimo incontro della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro”. Si sono confrontate sul libro l’autrice e Giovanna Di Lello, direttrice del John Fante Festival “il dio di mio padre”.
Di Lello ha sottolineato che Nadia Terranova “è una delle scrittrici più apprezzate della sua generazione, questo è il suo terzo romanzo, ha scritto anche numerosi libri per ragazzi. A questo romanzo mi sono appassionata tantissimo. Parte il 27 dicembre del 1908, il giorno prima del terremoto che rase al suolo Messina e Reggio Calabria. In questo contesto seguiamo le vicende di due personaggi: Barbara, una giovane donna che si oppone al volere di sposare un uomo che il padre ha scelto per lei e che ha il sogno di diventare scrittrice; Nicola, un ragazzino figlio di un ricchissimo commerciante di profumi che ne delega la cura alla madre, una folle bigotta che arriva a legarlo la notte in cantina. Il terremoto scuote la vita di questi due personaggi dando loro la possibilità di rinascere, la libertà di autodeterminazione. Barbara inventerà un proprio cognome proprio per liberarsi dalla famiglia patriarcale. I loro destini si incroceranno. A essere accattivante è non solo la storia ma anche lo stile, molto evocativo, riesce a dire tanto con poco. Anche la costruzione del romanzo è curatissima. La storia di Barbara è raccontata in prima persona, quella di Nicola in terza. Anche molti personaggi secondari sono interessanti, penso a Vittorio, alla suora Rosalba che aiuterà Barbara dopo il terremoto”.
L’autrice ha spiegato: “E’ stato importante il lavoro sulla lingua, da contestualizzare al periodo storico ma anche da rendere universale. E’ successo che chi è stato vittima di grandi perdite ha potuto cogliere occasioni di rinascita e per me il tema è stato proprio questo: raccontare che quando perdiamo tutto non necessariamente rimaniamo persone amputate. Il modello di Barbara è Letteria Montorio, una scrittrice messinese dimenticata, che scrisse un romanzo a partire dalla vicenda di un rifiuto di una donna di sposare un nobile. La sua condanna all’oblio (venne distrutta dal terremoto anche la sua tomba) ha rappresentato per me la condanna all’oblio delle scrittrici e delle donne in generale. I personaggi sono immaginari, ho seguito in questo approccio la verosimiglianza manzoniana, e si muovono accanto a quelli realmente esistiti come il professore Salvemini, che perdette moglie e figli nel terremoto. Ci sono personaggi maschili negativi ma anche positivi, come Vittorio, un ragazzo che riesce ad allargare le sue vedute sul ruolo della donna, o il prete che dà la possibilità a Barbara di lavoro e rinascita come maestra, e naturalmente Nicola, che non reitera gli abusi che subisce ma da adulto si scusa per la metà del cielo di cui fa parte. Con la suora Rosalba ho raccontato che le donne possono fare rete quando sono libere da uno sguardo che tende a metterle le une contro le altre: il patriarcato in questo senso ha sempre vissuto del divide et impera. Il terremoto paradossalmente ha creato legami e raccontare un’apocalisse dà l’opportunità di raccontare di un mondo che si sfila dalle consuetudini e crea delle nuove regole. Per quanto riguarda infine la ricostruzione materiale, non è mai stata fatta a Messina per il benessere dei cittadini e per me è molto doloroso parlarne. Quello che è stato fatto ha finito con il distruggere la memoria storica dei cittadini e allontanarli dal mare”.
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