Fina ha sottolineato che si tratta di “un’autrice che abbiamo molto voluto. Il suo è un libro molto bello da leggere, per tutti e tutte. E’ anche un saggio ma soprattutto un corpo a corpo con tutte le obiezioni che – in modi più o meno violenti – contrastano o criticano l’uso dei femminili professionali. La lettura di questo libro serve a chiunque voglia togliersi dei dubbi in tal senso. La lingua italiana, scrive Gheno, è una lingua anarchica, senza un’istituzione di riferimento che detta le regole, ma molte persone sono convinte che sia cristallizzata. Tuttavia l’Accademia della Crusca, autorità di conoscenza, molto spesso è stata attaccata: anche in questo libro si legge la tendenza all’aggressione al sapere in quanto sovrastruttura nemica, la diffusa visione complottista”.
Serone D’Alò si è detta “legata al lavoro di Vera Gheno e a tutto quello che ha smosso, generando un dialogo in diverse comunità, oltre che all’approccio del suo lavoro che mette le mani nella realtà: un testo grazie al quale si comprende come e quanto la lingua italiana sia viva, tanto da non potere che andare al ritmo del mondo. La linguistica non ha, per sua natura, interesse né per la destra né la sinistra, ma di fatto le parole fanno anche politica dando forma al mondo. L’autrice coglie nel vivo un dibattito iniziato decenni fa, intorno a termini come sindaca o ingegnera. E così facendo ci invita sempre a sperimentare, come nel caso della schwa”.
Gheno ha spiegato: “E’ un libro che parte da lontano, dalla mia esperienza di gestrice del profilo Twitter dell’Accademia della Crusca, dal 2012 al 2019. Durante quegli anni si parlava molto di questione di genere anche se spesso in modo binario, un’opposizione tra maschile e femminile. La posizione della Crusca era fondata dalla convinzione che quello non si nomina si vede meno. Mi capitava molto di essere esposta alla virulenza delle opinioni: mi resi conto che le persone comuni sanno molto poco e l’idea del libro nacque con l’obiettivo di creare un corpo intermedio tra loro e gli studiosi anche perché il punto di vista divulgativo in Italia è stato sempre poco utilizzato. La lingua italiana non ha un ente preposto al suo controllo a differenza di altri Paesi: vuol dire non avere la possibilità di pubblicare grammatica e vocabolario ufficiali. L’Accademia della Crusca è un ente di studio e non avere un vocabolario e una grammatica ufficiali significa non avere un testo finale a cui fare riferimento bensì una varietà di fonti. Questo per un semplice parlante può essere fonte di turbamento, alle persone in generale piace avere la risposta netta ed è molto più difficile prendere atto dell’indeterminatezza. Allo stesso modo, al lato opposto, esiste il rifiuto di qualsiasi autorità in nome magari dell’idea che uno vale uno. Questo è dato dal fatto che non si comunica mai la complessità del sapere e la contrapposizione tipica del dibattito scientifico”.
La registrazione del dialogo è disponibile qui.
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