Nei giorni scorsi ho proposto assieme ai colleghi senatori, e componenti della Commissione Ambiente, del Partito Democratico Bruno Astorre, Lorenzo Basso e Nicola Irto un’indagine conoscitiva sul rischio sismico e idrogeologico, da parte della stessa Commissione Ambiente, per individuare inefficienze e urgenze e contribuire a cambiare passo nella difesa del territorio. A ogni calamità ci ripetiamo che è ora di cambiare rotta: quanto accaduto a Ischia deve essere stavolta lo stimolo per un ruolo attivo del Parlamento. Attraverso l’indagine conoscitiva, propedeutica anche alla possibile istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta, si dovranno individuare le responsabilità, i colli di bottiglia, le inefficienze, capire come trasformare la disponibilità di fondi in interventi efficaci, operare a seconda dell’urgenza. Il sistema Paese ha dimostrato in passato di sapere se necessario intervenire con rapidità di fronte alle emergenze, e la fragilità di una parte rilevante del territorio italiano va considerata come un’emergenza.
La tragedia scaturita dalla frana a Ischia è solo l’ennesima in un territorio come quello del nostro Paese dove il combinato disposto della elevata fragilità naturale (come la vulnerabilità sismica) e di una spesso inadeguata antropizzazione (il consumo di suolo in Italia è tornato a correre ben oltre la media europea, l’abusivismo è stato per molti versi mal contrastato) hanno causato un quadro ben più che preoccupante. Basta sottolineare ciò che ci ha ricordato in questi giorni il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio: il 94 per cento dei comuni del nostro Paese hanno territori a rischio frane, alluvioni, erosioni costiere. Intervenire a disastri avvenuti non serve a impedire danni e lutti e costa di più: negli ultimi dieci anni lo Stato vi ha speso oltre tredici miliardi di euro. La situazione è destinata peraltro a peggiorare sempre di più, visto che l’Italia è particolarmente esposta alle conseguenze dei cambiamenti climatici che portano con sé un aumento della frequenza degli eventi estremi.
Alcuni vizi e indicazioni sono del resto già fin troppo chiari: la frammentazione dei fondi e dei canali di finanziamento per la realizzazione delle necessarie opere di adattamento, protezione, prevenzione e mitigazione; il peso eccessivo di un apparato burocratico che spesso fatica a individuare priorità e corsie preferenziali; la sottovalutazione dell’importanza della pianificazione urbanistica e territoriale, da dotare a sua volta di strumenti adeguati, che diano la disponibilità di efficaci mezzi e programmi per la prevenzione e la gestione delle emergenze. A questo si aggiunge un difficile ma indispensabile salto di qualità nella cultura della popolazione, arrivare alla consapevolezza costante del rischio in luogo dell’affidamento scaramantico di se stessi alla benevolenza della sorte: una maturazione generale che ne sosterrebbe altre, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, perché lo stimolo arriverebbe dai cittadini.
Michele Fina
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