Nel 78esimo incontro della rubrica di Michele Fina “Dialoghi, la domenica con un libro” è stato presentato il saggio “Sulla delicatezza” con l’autore Michele Dantini (storico dell’arte, accademico, saggista) e la filosofa Marielisa Serone D’Alò.
Michele Fina ha detto di avere immaginato “che questo libro potesse chiamarsi anche ‘sul ragionamento’. Ci richiama alla responsabilità argomentativa, un esame del nostro tempo, un punto a cui dovremo prima o poi approdare”.
Serone D’Alò ha dichiarato di essersi trovata nelle condizioni “di avere un’ulteriore lettura di quello che per me è un padre, Socrate, in particolare il Socrate platonico. Si inizia già con la delicatezza quando si legge l’introduzione di Eugenio Borgna. Ci troviamo poi di fronte a un prisma che messo assieme nelle varie sfaccettature porta a una definizione molto composita, tanto da necessitare di più di qualche passaggio concettuale, del concetto, dell’idea, dello strumento della delicatezza. C’è un richiamo molto forte alla capacità di ascolto, anche dentro di sé. La delicatezza ci porta al tema del ponderare, che ha in sé il respiro e la lentezza”.
Dantini ha spiegato: “La scelta di scrivere un saggio di questo tipo nasce dalla mia meraviglia per lo statuto ossimorico della delicatezza. La definisco così perché è un’esperienza ultrapotente. Ci vede in un ruolo in cui ammutoliamo, in analogia con l’esperienza socratica del demone. Socrate traccia una linea non valicabile tra il discorso che punta al consenso e in quello che attende l’autorizzazione del demone. In questa attesa c’è il silenzio e c’è anche goffaggine, quella che Dostoevskij chiama l’idiozia. In questo mio testo c’è sia l’elogio del silenzio che la diffidenza verso il linguaggio come abilità: l’Occidente stesso nasce dalla divaricazione tra il discorso dell’istrione e quello del filosofo, inteso come figura di santità civile, trattenuta da un obbligo di verità. Cerco di calare questa figura in una società rapida, caratterizzata dalla presenza dei media. Chi avverte una responsabilità dei propri atti linguistici si contrappone alla velocità, alla sfrontatezza, al pensiero a programma che oggi sono frequenti ma non tonificano la democrazia, portano con sé la semplificazione e l’impoverimento dei problemi. Prevale spesso una dimensione pubblica che non ammette l’ascolto, in cui si sono i germi di un risorgente fascismo, di una società della violenza”.
Fina ha posto l’autore di fronte al “rischio che questa delicatezza non faccia i conti con l’arena, che è molto affine alla democrazia, che a sua volta porta con sé automaticamente la capacità di convincere, il conflitto”.
Dantini ha risposto: “Il saggio non è un manuale di comportamento politico, non è nemmeno rivolto alla prassi. Richiama l’idea che esistono dimensioni di pienezza estatico – religiose, scelte e processi esistenziali che la politica non può esaudire. Si deve d’altro canto avere un dialogo con la dimensione politica, e qui deve prevalere un senso di prudenza e accortezza, di proporzionamento delle aspettative e dei comportamenti”.
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