Michele Fina ha spiegato che il testo parte “dal rapporto fatto dal giugno 2021 dalla Commissione su mafia e pandemia e ricostruisce il tema dell’antimafia. La criminalità organizzata di questo stampo prolifera in determinate condizioni, quando aumentano l’insicurezza e le diseguaglianze, quando il lavoro diventa povero”.
Lattanzio ha detto: “Allo scoppio della pandemia ho avuto la percezione che sarebbe potuta diventare un’opportunità delle mafie: è la storia che ce lo ha insegnato, è accaduto ogni volta che si è verificata una catastrofe. Ho proposto l’istituzione di una sottocommissione, che presiedo, in commissione antimafia per individuare scenari e modalità di intervento per quanto riguarda questo tema specifico. La pandemia ha fatto deflagrare alcune criticità che erano già presenti nel nostro Paese, è questa la riflessione di base. Il libro nasce dal bisogno di portare fuori dal Parlamento quello che riusciamo a realizzare”. L’autore ha raccontato alcune esperienze sul territorio, come Radio Kreattiva a Bari, web radio antimafia fatta da ragazzi, che ha contribuito a fondare nel 2005, e l’agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata per mettere assieme le progettualità antimafia e renderle di sistema, realizzata su impulso di Stefano Fumarulo nel primo mandato di Michele Emiliano da sindaco del capoluogo pugliese.
Per Lattanzio “la mafia è infinitamente più forte del passato. Sparano meno ma uccidono di più facendo danni strutturali al nostro sistema, attraverso le infiltrazioni nelle istituzioni e negli appalti. Le mafie si inseriscono molto facilmente, attraverso la disponibilità di liquidità economica e il controllo del territorio, dove ci sono punti di frattura non controllati dallo Stato, come ad esempio nella fase che ha preceduto l’erogazione dei ristori durante il governo Conte II. Questo incide su tutta la comunità, altera il sistema”. D’altro canto, ha detto, “abbiamo la migliore legislazione antimafia al mondo e la polizia giudiziaria e la magistratura sono di alto livello. L’antimafia sociale soffre di alcuni equivoci, come l’abitudine a raccontare di avvenimenti che risalgono a quando gli studenti e le studentesse non erano ancora nati. Occorre andare oltre la memoria: di Giovanni Falcone, ad esempio, vanno valorizzate le idee e le intuizioni piuttosto che la storia personale. Poi l’antimafia sociale risulta oggi un ambiente sostanzialmente chiuso, vanno promossi innovazione e partecipazione per raggiungere anche i più giovani, vanno ampliati i contenuti e occorre lavorare anche per il rispetto dei diritti: se c’è negazione dei diritti le mafie arrivano. Credo che oggi solo in una parte dell’opinione pubblica e degli attori istituzionali ci sia consapevolezza del rischio mafioso, non c’è nel complesso per varie ragioni adeguata attenzione. Io credo che per uno schieramento progressista la pietra angolare dell’antimafia sia fondamentale, per il Pd è una grossa opportunità”.
L’autore ha voluto rimarcare che a dispetto di alcuni luoghi comuni “anche al Nord c’è radicamento mafioso, da più di un trentennio. Qui assistiamo oggi a un’invasione dell’economia legale. Diventano importanti i protocolli per la legalità, così come è naturalmente sbagliato negare la presenza delle mafie”. Dalla centesima puntata la rubrica si presenta in veste rinnovata, avvalendosi della collaborazione di Michele Fina con l’attore Lino Guanciale, con Giovanna Di Lello (direttrice del John Fante Festival “il dio di mio padre”) e con Massimo Nunzi (compositore e direttore d’orchestra, trombettista e divulgatore).
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