Era naturalmente inevitabile che la guerra russa all’Ucraina stravolgesse l’agenda globale. Le questioni che fino a poche settimane fa era dominanti sia nell’azione politica che nella copertura informativa – il contrasto alla pandemia e il rilancio economico, le azioni da mettere in campo per la transizione ecologica – sono improvvisamente passate in secondo e terzo piano, soppiantate dalle cronache del conflitto, dal complicato percorso diplomatico, dalle nuove urgenze determinate dallo scontro tra l’Occidente e la Russia, che ha avuto effetti gravissimi sulle prospettive di ripresa globale, determinati soprattutto dalla crisi energetica. La Russia svolge infatti un ruolo di primissimo piano per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico di molti Paesi dell’Unione europea, a cominciare dal nostro. Nelle ultime settimane abbiamo perciò assistito a un frenetico attivismo spesi per porre rimedio all’innalzamento dei prezzi del gas e del petrolio, sia a livello nazionale che di Ue.
Le soluzioni a breve e medio termine hanno puntato sulla necessaria individuazione di fornitori che, con la necessaria dotazione di infrastrutture, possano prendere il posto della Russia. Non è mai stato chiaro come adesso quanto connesse siano le politiche energetiche, le questioni geopolitiche, le possibilità di tenuta, credibilità, promozione della democrazia. Proprio per questo vale la pena sottolineare oggi il rischio, nell’ambito di questo dibattito, che le preoccupazioni imminenti determinino una deviazione o quanto meno una distrazione dal percorso coraggiosamente intrapreso dall’Unione europea già prima dello scoppio della pandemia, rafforzato nei mesi successivi, di deciso investimento nelle tecnologie verdi e nella produzione di energia rinnovabile. Una scelta che si è manifestata anche a livello diplomatico, dove l’Ue ha sempre svolto ruolo di stimolo ed esempio nei confronti dei Paesi più riluttanti. Il rischio è stato giustamente sottolineato nelle recenti manifestazioni del movimento dei Fridays for Future, e ripropone oggi, in modo ancora più stringente perché influenzato dalle preoccupazioni immediate, la teoria che la transizione ecologica ed energetica sia un costo da sostenere per il sistema economico, e che quindi sia preferibile affrontarlo in tempi per così dire di vacche grasse. In realtà si tratta di un’illusione ottica, perché la crisi ucraina e i costi che stiamo pagando sul piano economico (a cominciare, come sempre, dai più deboli, si pensi solo agli aumenti esorbitanti dei costi delle bollette, o ai rischi per i lavoratori determinati dall’incremento, per le aziende, dalle spese per l’energia) dimostrano che l’investimento sulle rinnovabili è persino a medio termine la migliore strada per raggiungere gradi accettabili di autonomia energetica e quindi dotare il sistema economico di prospettive più sicure. E’ indispensabile perciò che le scelte che si compiono oggi sull’energia, che continuano a privilegiare il gas, siano affiancate dalla garanzia della tenuta della solidità del percorso verso la transizione e non siano invece l’anticamera del suo seppellimento.
Michele Fina
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