Nel 68esimo incontro della rubrica di Michele Fina “Dialoghi, la domenica con un libro” è stato ospite Nichi Vendola, autore della raccolta di poesie “Patrie” (Il Saggiatore). Ne ha lette alcune nel corso del dialogo l’attrice Antonietta Bello.
Fina ha detto: “E’ la prima volta che ci misuriamo attraverso la rubrica con questo genere. La raccolta si apre con una riscrittura del patriottismo, ma in realtà tutto il libro è attraversato da città del mondo, da un patriottismo che è incentrato sull’idea di un altro oggi rifiutato ma che invece l’autore raccoglie. In molti componimenti ci sono riferimenti di carattere familiare e amicale, tanto da evocare quella di poesia della cura come una possibile formula di definizione”.
Vendola rispondendo alle domande e agli stimoli di Fina ha commentato i tratti e le caratteristiche delle sue poesie: “Il mio è un patriottismo nemico di quelli che amano i muri, i confini, è il patriottismo del genere umano, del restare umani. E’ la teorizzazione dello sconfinamento, il confine è bello se mette in relazione le differenze”. Nelle poesie si parla degli “sconfitti di una globalizzazione che ha promesso molto e mantenuto poco, e consentito il risorgere ii fantasmi del passato, come il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo. Curare le parole è fondamentale per curare il mondo, anche quelle che non hanno paura di sorprendersi e stupirsi. C’è poi la necessità di dire la verità, anche parlando della sconfitta delle idee di cambiamento e rivoluzione. Le poesie non fanno la rivoluzione ma possano aiutare ad avere cura delle parole, solo così il vocabolario di un mondo migliore può essere costruito”.
Per Vendola “la pandemia mette al bando la cosa più importante, la socialità. Per me il distanziamento sociale è la morte del senso della vita. E’ cambiata non solo la vita, persino la morte, privata dei riti sociali del lutto. Ma forse questa specie di blackout dell’abbraccio ha rappresentato un punto di riflessione, ci ha fatto tornare una qualche nostalgia. Siamo entrati nell’epoca del postumano ma c’è qualcosa che resiste, che nessuna mercificazione può cancellare, ovvero l’istinto di cercare nello sguardo degli altri il senso della vita”.
L’autore ha detto di non avere mai rinunciato “a cercare la luna dentro il pozzo, a credere nella necessità delle utopie. Diceva Marcuse che i borghesi chiamano utopia il mondo che hanno paura possa realizzarsi. L’idea di un mondo migliore è l’unica consolazione che sento di fronte allo spavento che ha a che fare con la finitezza della condizione umana”. Una delle poesie è dedicata a Pietro Ingrao: “La sua vita è stata quella di chi ha dedicato ogni momento a combattere partendo dalla conoscenza di ciò che è la realtà. L’ingiustizia è lotta perché possa risplendere la singolarità di ogni vita. Il rischio dell’ingiustizia ci affratella nell’esperienza umana”. Un ultimo riferimento, ispirato dalla poesia “Acciaio”, alle vicende dell’Ilva e alla condanna in primo grado che Vendola ha recentemente subito.
Scrivi un commento