L’ultimo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere quantifica in oltre 84 miliardi e circa un milione e mezzo di persone occupate l’imponente valore del sistema culturale e creativo nel nostro Paese. E’ un pezzo importante della nostra economia; eppure la politica e le istituzioni – si è notato in modo plastico nella fase più dura dell’emergenza pandemica – fanno fatica a distinguerne l’identità e l’unitarietà. Un paradosso, se si pensa al riconoscimento di cui la cultura e il proverbiale “genio” italiani godono in tutto il mondo.
Ne abbiamo discusso nel corso dell’ultimo incontro della nostra rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro”, assieme a Gian Paolo Manzella, sottosegretario allo Sviluppo economico nel precedente governo. I meriti di Manzella in questo ambito sono evidenti: ha scritto un testo qualche anno fa (quello che abbiamo presentato) che è un vero e proprio manuale per capire storia e meccanismi dell’economia arancione (quella, appunto, della creatività) ed è soprattutto l’artefice, partendo dalla Provincia di Roma e passando per la Regione Lazio, di un fondo nazionale, che sarà attivo nel luglio prossimo, che sosterrà gli investimenti delle piccole e medie imprese nel settore creativo. Si parla di audiovisivo, design, festival, musica, letteratura, arti dello spettacolo, software, videogiochi, architettura, archivi, biblioteche, musei, artigianato artistico.
Al di là delle risorse stanziate e dell’impatto potenziale del fondo “Imprese Creative”, credo che esista una ragione supplementare per sottolinearne l’importanza persino rivoluzionaria, ed è quella accennata: il fondo riconosce implicitamente il filo rosso che tiene assieme settori che siamo stati finora abituati a considerare slegati e scollegati, tanto che persino coloro che ne fanno parte stentano a riconoscersi come “classe”, evidenza che da un lato rende più difficoltose le politiche organiche di sostegno e dall’altro scoraggia le collaborazioni virtuose. Se il peso del sistema della creatività nel quadro economico nazionale è evidente dai numeri, il fatto che sia cresciuto e si sia sviluppato nonostante le oggettive difficoltà e mancanze per quanto riguarda sostegni e incentivi pubblici ne accentua le potenzialità, con benefici molteplici. Bene ha fatto Manzella a sottolineare nel corso del nostro incontro che “è giusto che la competenza di questo settore, come è la tendenza a livello europeo, sia del Ministero dello Sviluppo economico e che la creatività stia dentro lo schema della politica. Rispetto a quando è stato scritto questo libro ci sono stati cambiamenti importanti: alcune industrie creative hanno sofferto molto durante il Covid, la creatività viene piegata sempre di più alla sostenibilità, e può essere fondamentale, con le sue imprese, per affrontare le sfide della transizione del ventunesimo secolo”, così come è significativo che il fondo “Imprese Creative” sia promosso congiuntamente dai Ministeri della Cultura e dello Sviluppo economico. Può essere in conclusione un importante primo passo per uscire da una certa pigra improvvisazione e sottovalutazione imprenditoriale dell’economia della creatività, per arrivare a politiche organiche di efficace, e benefica, valorizzazione.
Michele Fina
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