Nell’ottantesimo incontro della rubrica di Michela Fina “Dialoghi, la domenica con un libro” è stata presentata la raccolta di poesie “La terza geografia” (Neo Edizioni). Ospiti l’autore, il poeta contadino Carmine Valentino Mosesso, e Ramona Tripodi (attrice e autrice), che ha letto alcuni dei componimenti, scelti da lei stessa.

Per Fina nelle poesie di Mosesso è forte la “connessione tra parole, versi e luoghi dell’entroterra italiano, in particolare dell’appennino molisano – abruzzese, luogo di dimenticanza ma anche di restanza. Per distanziamento sociale molte persone hanno ripopolato questi luoghi, e in queste poesie si parla di questo ripopolamento come vicinanza. Il non luogo che genera a volte una città densa di persone è solo lontananza”.

Mosesso ha sottolineato che “la raccolta ha come elementi fondanti la voce degli anziani, il luogo, l’Italia interna. Le parole arrivano da una terra per molti anni trattata con freddezza da tutti, dalla politica, dal mondo, persino dai residenti. E’ come se nessuno l’abbia vista per come è realmente. E’ una raccolta di sguardi, di voci che non hanno voci, figlia di luoghi silenziosi e marginali. Questi luoghi ci abituano a fare i conti con un universo fatto di case in vendita, ma vendere una casa significa vendere una storia e chiuderla significa chiudere una storia. Oggi la poesia ma più in generale la letteratura hanno la responsabilità di raccontare questi luoghi, sono innanzitutto opera di coraggio. La poesia è nata per stare nella lingua, nella bocca delle persone, è una forma ancestrale di letteratura, è legata all’essenziale e alla semplicità. Solo con il suo approccio si può ristrutturare il nostro legame con le cose e con il mondo”.

Per l’autore “la città pensata come quella di oggi è poco gestibile. Oggi il margine e l’Italia interna rappresentano baluardi dove vivono quote eroiche di umanità. Il silenzio nei paesi ci dà la garanzia che non tutto è perso. Dobbiamo lavorare sullo sguardo, sull’identità, sulla tradizione, che non sono concetti legati alla stasi ma devono essere figli di un moto di ricerca culturale. La maggior parte delle terre coltivate oggi, dice uno studio di Slow Food, appartiene alle multinazionali, solo il quindici per cento è in mano ai contadini. Sono coloro che massimizzano risorse come l’acqua e il suolo, è questa la sostenibilità, calibrare con cura tutte le risorse. Giorgio Bocca ha scritto che la civiltà industriale ha ferito a morte quella contadina senza essere pronta a prenderne il posto. Se l’Italia è l’Italia lo dobbiamo anche all’agricoltura e alla pastorizia, che ne hanno modellato il territorio: le figure di cui parlo nella raccolta compaiono per una forma di rispetto e premura. La domanda è perché questi luoghi non ci offrano nessuna idea, li viviamo come mutilati di presente. Nel paesaggio c’è la risposta a quello che ha funzionato e quello che ha funzionato meno, e l’appennino lo racconta particolarmente bene”.

La registrazione del dialogo è disponibile qui