Nella presentazione si legge del libro che “racconta l’incredibile e affascinante storia del principe Pepito Pignatelli, batterista e appassionato di jazz, del mondo che gli ruotava attorno e che in larga parte è coinciso con la Roma della Dolce vita, e delle sue mille, folli imprese per portare nella capitale la musica che considerava la più bella del mondo. Pepito Pignatelli è un personaggio leggendario: a vent’anni ha fondato il Mario’s Bar, primo jazz club italiano; ancora giovanissimo ha conosciuto il carcere per una scapestrata vicenda di droga; dagli anni Cinquanta ha animato le notti dei locali più celebri, tra via Veneto e Trastevere; si è coperto di debiti pur di tenere in vita il Blue Note e il Music Inn, due locali che hanno fatto la storia; ha conosciuto, ospitato, accompagnato nei loro giorni romani maestri come Chet Baker, Gato Barbieri, Dexter Gordon”.
Nunzi ha spiegato che il libro è “basato su un ricordo che ha cambiato la vita dell’autore. Il Music Inn di Pepito Pignatelli era l’unico locale della Roma di cinquant’anni fa che aveva un respiro internazionale. Invito a leggerlo, fotografa in modo perfetto il mondo del jazz, che era allora un luogo di nicchia e di eccellenze. Il Music Inn era un posto straordinario, dove succedeva sempre qualcosa”. Molendini del suo lavoro ha detto che “è scritto in una chiave autobiografica, per raccontare il personaggio dal vivo. La storia è molto forte e travalica il mondo del jazz, è un racconto sulla forza della passione. Io e Pepito eravamo molto amici, ci volevamo bene. Divideva il mondo in due, quelli che amavano il jazz, che gli interessavano, e gli altri”.
L’autore ha ricordato che “io stesso diventai un giornalista, grazie anche all’ambiente musicalmente ricco, denso e vitale della Roma della fine degli anni Sessanta, per una suggestione di Pepito. Aveva i pregi della cocciutaggine e dell’energia. Il locale di Pepito, il Music Inn di largo dei Fiorentini, ha formato una generazione di musicisti che ha avuto la fortuna di suonare con i padri del jazz”.
Su Pignatelli Molendini ha detto: “Pepito era discendente di una famiglia nobile di grande storia che era caduta in disgrazia, era arrivata in Italia all’inizio degli anni Trenta, nella Roma del fascismo dove tutto ciò che veniva dall’America era guardato con diffidenza. Si appassionò al jazz in questo contesto e la batteria diventò il suo sogno che perseguì con grande determinazione, assieme a quello di aprire un locale di jazz. L’amore della sua vita fu Picchi, una figlia della ricca borghesia romana, che si innamorò di lui guardandolo sui rotocalchi. Quando Pepito fu arrestato in una retata di droga, iniziò a scrivergli cartoline in carcere. Quando uscì si sposarono. Picchi salvò la vita di Pepito”.
Dalla centesima puntata la rubrica si presenta in veste rinnovata, avvalendosi della collaborazione di Michele Fina con l’attore Lino Guanciale, con Giovanna Di Lello (direttrice del John Fante Festival “il dio di mio padre”) e con Massimo Nunzi.
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