Inducono alla riflessione i dati diffusi nei giorni scorsi da Confesercenti sull’impatto del cosiddetto smart working sulla nostra economia: il mantenimento parziale ma significativo del lavoro a distanza – che il laboratorio forzato dal periodo del lockdown di due anni fa ha mostrato come fattibile e conveniente – farà risparmiare alle aziende, è la stima, 12,5 miliardi di euro. Di riflesso ci saranno filiere collegate, come quella della ristorazione, che ne perderanno il doppio, e saranno a rischio oltre ventimila attività. Non serve sottolineare che l’effetto è dirompente nell’ambito del lavoro, e importante anche in quello commerciale: si pensi ad esempio alla variazione della composizione della spesa di una famiglia, un effetto che si somma ai rincari astronomici registrati negli ultimi mesi dall’energia e dai carburanti.
Vanno messe in luce anche le conseguenze sui nostri centri urbani, a cominciare dai maggiori: interi quartieri votati alla funzione direzionale rischiano letteralmente di svuotarsi; allo stesso modo in zone che erano state destinate al pressoché esclusivo ruolo di “dormitori” si potrà aprire la possibilità di fruire nuovi spazi e di aprire nuove attività perché molto semplicemente sono, e saranno, vissute maggiormente. Le troppo frettolose profezie sulla morte delle città innescata dalle nuove esigenze della pandemia sembrano insomma da rivedere, piuttosto, con il loro mutamento, persino ricomposizione, da affiancare alle nuove opportunità per i borghi e le aree interne di cui tanto si è scritto e detto. A patto naturalmente che il cambiamento sia colto e accompagnato.
Lo stanziamento di fondi per la rigenerazione urbana è stato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza imponente; i quasi tre miliardi di euro per il Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare sono praticamente senza precedenti, così come le risorse messe a disposizione delle città metropolitane per i piani urbani integrati. Significativi investimenti verranno fatti anche nel trasporto pubblico e nelle reti ciclabili. Il nodo sta nell’impostazione stessa del PNRR, che impone la rapidità della spesa. Un’esigenza che ha fatto sì che venisse spesso privilegiata, per la realizzazione di opere e interventi di rigenerazione e in generale per le città, la scelta di progetti già pronti, che giacevano magari da anni nei mitologici cassetti degli uffici delle amministrazioni pubbliche.
E’ mancata finora e in gran parte la dimensione della programmazione e della progettazione, che andrebbe recuperata nelle stagioni a venire. Le città, da sempre nell’epoca contemporanea motori e traino del cambiamento, vanno messe nelle condizioni di coglierlo e valorizzarlo, senza che questo sia lasciato allo spontaneismo dell’iniziativa privata. Serve un’agenda urbana. Iniziative positive e meritevoli come il superbonus per la riqualificazione degli immobili privati necessiterebbero ad esempio di un salto di qualità che faccia sì che non ci si limiti a incentivare la volontà di intervento dei singoli proprietari, ma lo ricollochi e inquadri in un contesto generale di intervento e riqualificazione che sia a scala maggiore, dove la rigenerazione non sia limitata agli elementi fisici degli edifici ma contempli anche quelli sociali e culturali.
Michele Fina
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