Si è discusso e discute molto, in modo particolare in coincidenza della lunga fase pandemica, sulla possibilità di una nuova vita, con nuove opportunità, per i borghi delle aree interne del nostro Paese. Anche grazie a nuovi modelli e approcci che si sono imposti negli ultimi tempi, a cominciare dal lavoro a distanza e dalle esigenze di distanziamento, i progetti di vita nei piccoli centri hanno acquistato attrattività. Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha destinato risorse importanti al tessuto dei borghi. Alcune iniziative hanno innescato un certo dibattito, e sono state evidenziate le contraddizioni delle misure avviate. Quello che si può affermare con ragionevolezza è che le risorse, sebbene ingenti, da sole non bastano; e che se investite male rischiano di produrre opere e interventi inefficaci per gli obiettivi di rigenerazione.
A questo proposito è molto utile accostarsi al volume di ricerca “50 Visioni Comuni”, promosso da Hubruzzo, Officina Italia, Carsa e Symbola. Il direttore scientifico della ricerca è Simone D’Alessandro. Raccogliendo cinquanta buone pratiche di esperienze di rigenerazione nei comuni di tutto il Paese si vuole offrire una mappa pragmatica che sia di ispirazione anche per gli altri, affinché attraverso le risorse, che ora finalmente in molti casi sono a disposizione, e le idee, riescano a costruire visioni di successo e non borghi vuoti o cattedrali nel deserto.
Le cinquanta esperienze sono suddivise in dieci categorie: 1. Abitare temporaneo, arte e incrocio di saperi; 2. Borghi diffusi, remote working e servizi turistici; 3. Cooperative di Comunità; 4. Economia Circolare; 5. Economia Civile e Beni Comuni; 6. Festival Internazionali; 7. Fondazioni, imprese e ricerca; 8. Neo-residenti e ritornanti; 9. Recupero, rigenerazione e riuso dei patrimoni; 10. Scuole alternative e Summer School.
Soprattutto, si mettono in evidenza cinque parole chiave che, sostengono i ricercatori, sono alla base della riuscita di qualsiasi sviluppo locale: flusso (i territori devono porsi l’obiettivo di diventare ambiti di passaggio di merci e persone); connessione (il piccolo centro, a un certo punto, deve vincere la sfida di riuscire a mettersi al servizio di altri, siano essi città più grandi o gruppi di borghi); limite (va evitato l’effetto Venezia, perciò serve anche investire sulla diversificazione e darsi dei paletti per rendere il progetto sostenibile); neopopolamento (occorre puntare non solo e non tanto sul ritorno degli emigrati ma su neo-abitanti, come gli italiani di seconda, terza e quarta generazione e vanno attratti gli imprenditori); comunità di progetto (i progetti non si innescano dall’alto, ma grazie a una nuova forma di collaborazione tra pubblico, privato, terzo settore e cittadinanza attiva).
Da Favara a Castel Del Giudice, da Melpignano a Stazzema, da Aielli a Offida, solo per citarne alcuni, si scoprono successi ottenuti grazie alla creatività, al rigore, all’intelligenza, e si affronta la sfida di costruire un metodo all’insegna della concretezza, fuori dai luoghi comuni e dalle facili ma ingannevoli ricette che spesso infestano questo livello di discussione.
Michele Fina
Scrivi un commento