Negli Stati Uniti la Corte suprema ha, nei giorni scorsi, ufficialmente annullato la storica sentenza Roe vs Wade – che 50 anni fa aveva reso l’aborto un diritto costituzionale, legalizzando l’interruzione di gravidanza a livello federale. Con questa clamorosa decisione, la Corte ha di fatto reso possibile ai governatori dei vari stati di stabilire se rendere legale o meno l’aborto nelle proprie giurisdizioni, togliendo da un giorno all’altro alle donne il diritto di scelta sul proprio corpo.

In poche parole, non esiste più il diritto all’aborto: è stato cancellato o comunque reso passibile di letture e iniziative opinabili, personali quando non smaccatamente ideologiche. Quello che è in campo quando si tratta di aborto, ho compreso col tempo, e fa di questo argomento un motivo di scontro, quando non di conflitto aspro – e niente affatto secondario – non attiene (non soltanto almeno) alla libertà femminile, ma anche e soprattutto alla capacità che si intende riconoscere alle donne, tutte.

A quella che Botti definisce – in un bel contributo al tema pubblicato in “Dai nostri corpi sotto attacco. Aborto e politica”, da lei curato – «la specifica competenza morale che le donne agiscono in ambito riproduttivo» e cioè il riconoscimento di «piena soggettività o umanità che ciò comporta».

Infatti, se leggiamo le motivazioni di chi ha impugnato la sentenza storica del 1973, oggi, negli Stati Uniti, questo è quello che viene argomentato, se lo si osserva bene. Il giudice Samuel Alito, nello spiegare le motivazioni riguardo la necessità di annullare la Roe vs Wade, riporta “La Roe era clamorosamente sbagliata fin dall’inizio. Il suo ragionamento era eccezionalmente deboleLa conclusione inevitabile è che il diritto all’aborto non è profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della nazione”. Non è difficile vedere come in queste parole abiti il punto focale della questione che stiamo provando a dire: l’aborto è un fatto pubblico, pubblico e il corpo delle donne e pubblica deve essere la valutazione di cosa farne, di quel corpo.  L’idea di vederlo libero, autonomo e autodeterminato, consapevole e sciolto da ogni laccio genera scandalo, sconforto, disordine.

L’idea di comporre insieme alla libertà la responsabilità, infatti, non piace ai conservatori, e non piace alle destre che vedono così sciogliersi i gangli su cui agiscono il loro potere: il senso di colpa, il giudizio morale, le differenze come segno di debolezza, le diseguaglianze e la tradizione come mantenimento di un potere autoritario.

Dobbiamo ricordarci quanto anche in Italia la questione dell’aborto sia un nervo scoperto, per via del dilagante fenomeno dell’obiezione di coscienza che rende impossibile in moltissime strutture pubbliche di dare corso all’IVG (Interruzione volontaria di gravidanza) – basti pensare che nel nostro paese in oltre 70 ospedali gli obiettori sono più dell’80%.

Abbiamo affrontato questi temi anche nelle numerose Agorà che si sono svolte in questi mesi, e siamo convinti del fatto che il PD e i partiti di centrosinistra debbano assumersi questo compito fondamentale: non lasciare inascoltati gli appelli intorno alla necessità di parlare ancora di questo argomento, in Italia affrontato e assicurato da una legge e da un referendum, affinché la legge 194 possa essere migliorata se non superata in ascolto delle voci delle dirette interessate, in prima istanza. Di ogni classe, età, appartenenza etnica, culturale e politica.

Michele Fina